Di Davide Puma si conosce la bellezza di una pittura di grande tecnica che negli anni si è addensata nella materia e rarefatta negli esiti, così che la sensazione guardando le sue tele è di una straordinaria presenza dei soggetti raffigurati, in pose classiche anche quando si tratta di animali, e nello stesso tempo di una loro lontananza, quasi fossero filtrati dalla memoria o dal sogno. La poetica di Puma si ispira, infatti, alle suggestioni del Surrealismo, ma soprattutto i suoi paesaggi echeggiano anche l’impressionismo en plein air; i colori trasognanti sono di un Monet che ha soggiornato nell’eden dei surrealisti e ne è fuggito con una tavolozza di colori pastello che virano in certi casi al fluo. Il grottesco a cui ambisce Puma, sulla scorta di Bosch, si stempera in una visione onirica fatta di colibrì, pappagalli e pesci che sarebbero piaciuti a Garcia Lorca, sublime poeta, guarda caso, sodale di Dalì.